ESCLUSO L’ABUSO DEL DIRITTO NELL’IPOTESI DI SCISSIONE SOCIETARIA CON CONSEGUENTE PASSAGGIO DELLE QUOTE

Risoluzione 97/E del 25 luglio 2017: la scissione societaria con passaggio delle quote non costituisce abuso del diritto.

E’ finalmente arrivata la pronuncia ufficiale dell’Agenzia delle Entrate su una questione alquanto delicata, che muovendo dalla disposizione del vecchio art.37 bis del D.p.R. 600/73 ha destato parecchi dubbi interpretativi.

In particolare, il contribuente italiano si è nel corso degli anni domandato se la scissione societaria, con conseguente passaggio delle quote ad un’altra società, configuri o meno un’ipotesi di violazione dell’art.10-bis della l.212/2000 (Statuto del contribuente).

L’Agenzia ha finalmente posto fine a questa diatriba rendendo pubblica la sua risoluzione n.97/E del 25/07/2017. Con questa risoluzione l’Agenzia ha innanzitutto inteso rispondere ad uno specifico interpello, presentatole ai sensi dell’art.11, lett. c, l.212/2000 e, in secondo luogo, porre soluzione, come anticipato, ad un luogo di scontri interpretativi di non poca rilevanza.

Il quesito presentato in interpello all’Agenzia concerne una S.p.A. ad attività sanitaria dapprima nell’ambito della medicina fisica e della riabilitazione, nonché della radiologia e della diagnostica per immagini e, successivamente, anche in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.). Detta società, con decreto della Giunta Regionale, ha conseguito l’accreditamento definitivo presso il Servizio Sanitario Regionale per diverse branche medicospecialistiche, successivamente ampliando l’offerta sanitaria con l’inclusione di ulteriori prestazioni rese in regime esclusivamente privatistico, la quale è peraltro in possesso di un compendio immobiliare, in parte, utilizzato dalla stessa e, in parte, locato a terzi. Premesso che la compagine sociale si articoli in tre soci-persone fisiche, titolari ciascuno di partecipazioni al capitale sociale pari al 35% e da una società per azioni, il cui capitale è sostanzialmente ripartito tra le medesime persone fisiche, che detiene azioni per il 30% del capitale sociale, intento della società è quello di realizzare un’operazione di scissione proporzionale a favore di una neocostituita S.r.l., la quale risulterebbe poi assegnataria del ramo immobiliare, con conseguente attribuzione dell’attività gestoria del compendio medesimo. Successivamente, alla scissione, farà seguito la cessione delle partecipazioni detenute nella scindenda, da parte dei relativi soci, alla neocostituita S.r.l.

L’istante propone la sua soluzione interpretativa asserendo che la prospettata ristrutturazione societaria non aggiri alcuna norma o principio dell’ordinamento tributario e, quindi, non sia finalizzata a conseguire vantaggi fiscali indebiti, in ragion del fatto “che la società scindenda proseguirà la sua attività caratteristica, mentre la beneficiaria svolgerà un’effettiva attività di gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare, che le sarà assegnato ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti in capo alla scindenda, e continuerà ad essere utilizzato in funzione dell’esercizio dell’attività di gestione di centri medici e di locazione a terzi.” La scissione, difatti, non determina effetti di suddivisione del patrimonio sociale tra i soci. Tali asserzioni risultano peraltro trovare riscontro anche in relazione alla cessione delle partecipazioni detenute nella società scissa, che sarà perfezionata a seguito della scissione parziale proporzionale della stessa,  premesso che l’art. 176, co.3, del D.p.R. 917/1986, stabilendo la non abusività del conferimento d’azienda, quale operazione fiscalmente neutrale, così come la scissione, seguito dalla cessione della partecipazione ricevuta in cambio, equipari la posizione dei soggetti che gestiscono l’azienda tramite società, i quali hanno la scelta tra la cessione dell’azienda e quella delle partecipazioni, alla 4 posizione dei soggetti che gestiscono l’azienda direttamente, e che detta scelta non hanno, se non appunto previo conferimento in società dell’azienda. Tale norma, dunque, esclude l’abusività/elusività di un’operazione societaria fiscalmente neutrale seguita dalla cessione delle partecipazioni, soggetta al regime di esenzione (parziale) della plusvalenza ai sensi dell’art. 87 dello stesso TUIR.

La contribuente medesima, inoltre, apporta quelle che sono le ragioni giustificatrici per le quali intende intraprendere tale operazione straordinaria, sostenendo che si tratti di valide ragioni extrafiscali non marginali, consentendo:

a) il miglioramento della gestione dell’attività caratteristica della società scindenda, attraverso lo snellimento della struttura aziendale;

b) la valorizzazione del patrimonio immobiliare che sarà assegnato alla società beneficiaria della scissione, la quale potrà intraprendere iniziative specifiche dirette allo sfruttamento dello stesso;

c) di dare seguito, nella maniera più lineare e celere, all’offerta che i soci dell’interpellante hanno ricevuto dalla S.r.l. neocostituita, interessata all’acquisto delle partecipazioni della società istante, con l’espressa esclusione del relativo compendio immobiliare, al fine di conseguire la relativa autorizzazione all’esercizio dell’attività sanitaria e l’accreditamento presso il S.S.N., che costituisce l’esito di un processo di selezione complesso, disciplinato dal D.lgs 502/1992 e, pertanto, rappresenta il maggiore valore economico di una struttura sanitaria privata.

La risposta dell’Agenzia si apre con il rinvio all’art.10-bis, l.212/2000. In particolare, secondo il disposto del comma 1 dell’articolo 10-bis, l.212/2000, e successive modificazioni, recante la “Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale“, affinché un’operazione possa essere considerata abusiva, l’AF deve identificare e provare la contemporanea sussistenza di tre presupposti costitutivi:

a) la realizzazione di un vantaggio fiscale “indebito”, costituito da “benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”;

b) l’assenza di “sostanza economica” dell’operazione o delle operazioni poste in essere consistenti in “fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”;

c) l’essenzialità del conseguimento di un “vantaggio fiscale”.

L’assenza di uno dei tre presupposti costitutivi dell’abuso determina un giudizio di assenza di abusività. Il legislatore ha peraltro chiarito, al comma terzo dello stesso art.10-bis dello Statuto, che non possono comunque considerarsi abusive quelle operazioni che, pur presentando i tre elementi sopra indicati, muovano da “valide ragioni extrafiscali non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale”.

L’Agenzia, dunque, si pronuncia rievocando un principio già affermato, in ragion del quale a fronte dell’esistenza di alternative meno onerose, purché queste siano legittime, il contribuente può, altrettanto legittimamente, optare per quella che si palesi meno onerosa, realizzando un pertanto legittimo risparmio d’imposta.

Con la risoluzione, tuttavia, l’Agenzia pone anche attenzione all’ipotesi nella quale il trasferimento afferisca ai singoli beni. L’Agenzia asserisce a tal proposito che l’operazione di riorganizzazione aziendale debba comunque virare nella direzione dell’effettiva prosecuzione dell’attività imprenditoriale e “non debba trattarsi di società esclusivamente caratterizzate da liquidità, intangibles o immobili”.

Imposta di registro: con la risoluzione n. 97/E l’Agenzia delle entrate amplia il proprio raggio d’analisi affrontando un ulteriore tema. La risoluzione n.97/E pone anche attenzione all’imposta di registro, nella stessa ottica interpretativa propria dell’art.20, D.p.R. 131/1986. A tal proposito, l’AE rimarca che l’operazione di scissione seguita dalla cessione delle partecipazioni, in questo caso della società scissa, non possa configurare ipotesi di abuso del diritto. Ciononostante, la stessa opera, di fatto, un rinvio ai recenti orientamenti della Cassazione, i quali, pur escludendo un’ipotetica elusività dell’articolo 20 del D.p.R. 131/1986, destano non poche perplessità. In particolare, nella risoluzione viene operato rinvio alla sentenza n. 6758/2017 della suprema Corte di Cassazione, con la quale, sostanzialmente, si è affermato che l’interprete possa qualificare alla stregua d’una cessione d’azienda anche una serie di atti plurimi allorquando, stando ai fatti, sia ravvisabile una causa unitaria di cessione aziendale.

 

A cura di Stefano Vito Pantaleo

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